Il giorno che sarei dovuta essere dimessa, mi sono messa a svuotare i cassetti riempiti da mesi di necessità e capricci. Però i vestiti non sono riuscita a metterli in borsa, alcuni troppo pesanti, altri irraggiungibili.
Ho la cerniera della felpa da chiudere, vedo passare una oss (che qualche anno fa mi fece incontrare sua figlia, appena arrivata dalla madrepatria - il Perù - per studiare: nel frattempo si è laureata e fidanzata) e le chiedo il favore.
Lei vede che sto impacchettando.
Le spiego che mi porto avanti, tanto poi, nel pomeriggio, arriveranno a prendermi e penseranno loro a ultimare il trasloco.
Passano cinque minuti e mentre annaspo con la testa nel cassetto delle meraviglie, mi si para davanti nuovamente questa signora: "Allora, che devo fare, dimmi tutto". Mi sono un po' commossa, dentro.
Arrivano i miei e inizio il giro dei saluti. Dura tre ore.
Sono alla fine, sto quasi per prendere l'ascensore e vedo un'amica infermiera e la caposala dentro una camera lì a fianco. Penso di salutarle ancora, ma vedo che sono impegnate. Escono loro e una carrozzina basculante, quelle carrozzine mezze sdraiate che tutti - tranne me - usano dopo intervento o lungo riposo a letto. Vedo una testa ricciolina, è quella di un bambino. Urla, piagnucolando, qualcosa. Ma non capisco.
La caposala, che mi dava le spalle, si gira: sento la sua voce un po' spezzata dire: "Dice che vuole andare a casa sua...".
Entro in ascensore senza ulteriori indugi.
E col magone torno a casa.
3 commenti:
non far passare troppo tempo ancora per il prossimo post....!!!!
Questa poi. Chi mi avesse detto mi sarei commosso perché vedo rinascere il tuo blog...
Ho trovato per caso questo blog...bellissimo perché non scrivi più?
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