Solare ma tetra
odissea di una tetraplegica ordinaria, cercando di far andare le ruote con un minimo di leggerezza
sabato 15 giugno 2013
quando è passato un po' di (secondo) tempo
Ho la cerniera della felpa da chiudere, vedo passare una oss (che qualche anno fa mi fece incontrare sua figlia, appena arrivata dalla madrepatria - il Perù - per studiare: nel frattempo si è laureata e fidanzata) e le chiedo il favore.
Lei vede che sto impacchettando.
Le spiego che mi porto avanti, tanto poi, nel pomeriggio, arriveranno a prendermi e penseranno loro a ultimare il trasloco.
Passano cinque minuti e mentre annaspo con la testa nel cassetto delle meraviglie, mi si para davanti nuovamente questa signora: "Allora, che devo fare, dimmi tutto". Mi sono un po' commossa, dentro.
Arrivano i miei e inizio il giro dei saluti. Dura tre ore.
Sono alla fine, sto quasi per prendere l'ascensore e vedo un'amica infermiera e la caposala dentro una camera lì a fianco. Penso di salutarle ancora, ma vedo che sono impegnate. Escono loro e una carrozzina basculante, quelle carrozzine mezze sdraiate che tutti - tranne me - usano dopo intervento o lungo riposo a letto. Vedo una testa ricciolina, è quella di un bambino. Urla, piagnucolando, qualcosa. Ma non capisco.
La caposala, che mi dava le spalle, si gira: sento la sua voce un po' spezzata dire: "Dice che vuole andare a casa sua...".
Entro in ascensore senza ulteriori indugi.
E col magone torno a casa.
domenica 2 giugno 2013
quando è passato un po' di (primo) tempo
"Sì sì, vabbè - pensavo - saranno un po' di mesi".
Digito il titolo del blog. Sbagliato. Uhm. Un segno?
Digito il titolo del blog. Giusto.
Aaaaaaagh!!!
E' passato più di un anno.
E in tutti questi mesi ho attraversato - metaforicamente - mari e monti.
Faccio un breve riassunto?
Ma breve, eh.
[così breve che, giunta alla fine del post, ho deciso di dividerlo in parti, per la coerenza che da sempre mi contraddistingue]
Sono stata ricoverata. A lungo e in tranches.
Non solo nell'unità spinale che da anni mi accoglie, ma anche in altri reparti.
E cazzo. Io mi ero scordata come fossero gli ospedali. Era dai tempi di quel rompicoglioni di mio zio con le sue crisi respiratorie (ma che comunque, già la mattina successiva, era in grado di urlare alle infermiere) che non ne frequentavo uno "old style". E invece.
Eccomi qui, direttamente dal pronto soccorso - dove ero arrivata solo undici ore prima - in camera con una signora di cui ricordo vagamente il volto. Ricordo due cose distintamente: che mi aveva detto che faceva un caldo infernale (e non fossi stata più in là che in qua avrei urlato di gioia) e che mi aveva dato elementi per pensare che fosse molto sola.
Il giorno dopo se ne va, arriva una ragazzina di vent'anni con un problema tutto sommato gestibile.
Abbiamo interagito un po', ma non è che avessimo molto in comune.
Quella mattina conosco la dottoressa che mi avrà in carico.
Quando, dopo qualche giorno, sto decisamente meglio le chiedo se posso mollare il letto e scendere in carrozzina. Sembra accomodante. Finché.
"Le provo la pressione, va bene?"
"Sì dottoressa, ma guardi che sarà bassina".
Mi si sbianca.
"La massima è settanta e la minima non sono riuscita a prenderla!"
"Ma sì dottoressa, è normale. Un po' di giorni a letto, poi sono un po' debilitata... Posso scendere?"
"MA E' MATTA?!? Con questa pressione lei vorrebbe girare in carrozzina??? Ma lei mi sviene!"
"Ma no, guardi, al limite mi girerà un po' la test..."
"NON SE NE PARLA! Recuperi forze, domani ne riparliamo!".
Inutile dire che ho dovuto aspettare giorni, che la pressione massima non ha mai oltrepassato gli ottanta, che mi sono seduta in carrozzina per un'ora, quando un amico fisioterapista è venuto a trovarmi e si è preso la responsabilità.
Mi è bastata quell'oretta per vedere stanzoni a cinque letti, anziani malmessi in pigiama, piastrelle pavimenti pareti (vale tutto, basta che cominci per "P") che rimandavano a un'epoca passata.
Tristezza.
Da quel giorno ho aspettato il trasferimento e ho benedetto gli smartphone e il "mio" letto" super-tecnologico (di gran lunga la cosa più moderna dell'intero reparto) che mi permetteva di stare a letto senza causarmi danni.
Nel frattempo visite. Ma non di amici, a parte A [che forse proprio per questo si sente in diritto di cazziarmi]. Del personale medico e non che mi segue da anni.
Una scena mi ha fatto ridere. Entrambi miei chirurghi plastici hanno una buona fama, chi per un motivo, chi per un altro. E alla dottoressa racconto che vengo seguita da loro, lei si illumina e mi dice che li chiamerà per farmi continuare con le medicazioni più adeguate.
Una mattina, tutta emozionata, mi dice che arriverà il Dr. B.
Poco prima dell'ora di pranzo la dottoressa inveisce contro un presunto familiare che non rispetta gli orari di visita.
Lui ci prova: "No, ma guardi che non sono un familiare, sarei...", macché, non lo fa mica finire. Continua a rompere con il rispetto degli orari verso questo signore di mezz'età, camicia, maglione e un orrendo piumino verde. Lui, sornione, ad un certo punto sorride e lei si ferma. Forse capisce.
"Piacere, sono il Dr B".
La scena è originale.
Me l'ha raccontata la dottoressa verso sera.
Il Dr. B è troppo un signore per mettere in ridicolo una collega.
Che personaggio.
[vabbè, per stasera chiuderei]
giovedì 12 gennaio 2012
quando realizzi che non finisce mai
E ho avuto dei tempi morti.
Allora una terapista mi ha chiesto di far vedere a una persona la manualità che ho sviluppato.
Perché è vero. Quando sei ancora in riabilitazione ti sembra che mille cose non potrai farle più. Io ricordo che vidi il mio (ora) amico S che - tetra - inseriva una moneta nel distributore automatico e prendeva una bottiglietta d'acqua. Vedevo che aveva una lesione simile alla mia, mi sembrava qualcosa di miracoloso. Mesi dopo feci la stessa cosa. Senza usare le dita, perché le mie, le nostre dita non funzionano.
Mi sono trovata davanti questo ragazzino, tetra per una piccola cretinata che TUTTI abbiamo fatto 500 volte, e neppure sappiamo (beh, io ora lo so) a che rischio andiamo incontro.
E ho visto in lui tutta la fatica del percorso intrapreso post-incidente. Il coraggio di facciata ma la paura di non farcela nel fondo degli occhi.
E non finisce mai, non finisce mai la nostra ricerca di espedienti per utilizzare un oggetto o compiere un'attività apparentemente impraticabile.
E non finisce mai la tragedia dei ragazzi che in ogni momento dell'anno, per piccole cagate, vedono la loro vita totalmente ribaltata.
mercoledì 11 gennaio 2012
quando un attimo in più
sabato 24 dicembre 2011
mercoledì 9 febbraio 2011
quando è difficilissimo parlare
mercoledì 4 agosto 2010
quando vieni presa per neo-patentata
martedì 27 luglio 2010
quando un concerto e una riflessione
venerdì 9 luglio 2010
quando è già luglio
sabato 10 aprile 2010
quando tre emboli metaforici
martedì 9 marzo 2010
quando una si dimentica le cose
E la neve sta scendendo copiosa.
Questa è la patente della neve, è scritto nelle stelle.
Il giorno dell'esame non nevicava, però diluviava. Unico giorno di pioggia della settimana (poi, appena arrivata a casa, ha subito smesso).
Vi affronterò ostili agenti atmosferici!
Mi chiamo Massimo Decimo Meridio! (o forse no)
sabato 13 febbraio 2010
quando la nuvoletta di Fantozzi
martedì 2 febbraio 2010
quando mandaci una cartolina
sabato 12 dicembre 2009
quando un account e pure un incivile ignorante e...
giovedì 12 novembre 2009
quando una serata tetra
sabato 31 ottobre 2009
quando il materasso ad acqua
Eccomi.
E' che tra settembre e ottobre sono successe molte cose, quasi tutte sgradevoli se non proprio brutte, e non avevo testa per scrivere. Nessuna ispirazione.
Tra le altre ci sono quelle che mi riguardano, che sono:
- febbriciattola ingiustificata
- dita dei piedi come quelle del pesce palla, se solo il pesce palla avesse i piedi e pure le dita
- piaga all'osso sacro peggiorata malamente nel giro di qualche giorno, e questo non è mai una cosa buona
- coagulazione del sangue impazzita, che se mi faccio un taglietto con il bordo di un foglio probabilmente muoio dissanguata.
Tutte queste cose insieme. Ero un po' nervosetta.
Ora la febbriciattola è andata, delle dita dei piedi non so più nulla perché adesso indosso le calze, la piaga sta migliorando (avete mai visto quanto fa schifo una piaga da decubito? a me una volta la fisiatra, per mostrarmi il miglioramento, mi fece vedere a tradimento una foto di una mia piaga, è mancato poco che un attacco di tachicardia mi portasse all'obitorio), la coagulazione è sempre pazza ma stabile (il che è bizzarro: limiti i medicinali e il livello di coagulazione dovrebbe scendere, invece no, boh).
Mi hanno dato il materasso ad aria. Però i miei familiari sono stati a lungo convinti, prima che arrivasse, che si trattasse di un materasso ad acqua, che a me ricorda tanto Jerry Calà, non so se perché in uno dei suoi film (tipo: "Vado a vivere da solo") ce l'aveva o se perché è un'associazione così, senza motivo.
Già sento gli urletti di invidia da parte di quelli che sono costretti alla dura legge del lattice, tuttavia per un tetra il materasso ad aria non è una goduria.
Innanzitutto non ne sento giovamento, perchè di fatto ci appoggio solo le spalle, essendo il resto un po' sul cuscino e un po' senza sensibilità tattile (però la piaga pare trarne giovamento). Inoltre i passaggi carrozza-letto ve li raccomando. Sarà questione di abitudine ma rischio sempre il volo. Un materasso ad aria non ha la stessa sostanza di un materasso di lattice, quindi le mani affondano e tu non sai che cazzo fare. Per fortuna c'è Dasvi che si prende cura di me.
Ah, mi toccherà raccontare di Dasvi, ma questo sarà un altro post.
mercoledì 28 ottobre 2009
quando tutti tranquilli
mercoledì 9 settembre 2009
quando è finalmente mercoledì
- "Io faccio questo lavoro per umanità, non per i soldi!" (mia risposta: allora non ha bisogno del nostro stipendio)
- "Lei dovrebbe essere più rispettosa!", urlato a distanza alle 23.40 di sera perché ero in ritardo sull'orario di marcia (mia risposta: innanzitutto non urli, inoltre io porto rispetto a tutti, se ho fatto un errore sia comprensiva, anche lei ne fa)
- "Io pretendo che lei mi scriva su un foglio che la responsabilità è sua!", sul fatto che non si trova più la cazzo di amuchina per disinfettare le buste per il cateterismo (mia risposta: lei ufficialmente non è neppure in questa casa, il problema non esiste)
- "Perché lei si sveglia alle otto e mezza fresca come una rosa, ma io non sono una macchina, sono stanca!", in relazione al punto n° 1 (mia risposta dopo 5 minuti di training autogeno per non esplodere: non si permetta di dire una cosa come questa, lei non ha idea di come io mi svegli la mattina, spesso già con un mal di schiena che so che mi sfiancherà per l'intera giornata, quindi non parli di cose che non sa)
- "Io domani faccio l'ultimo giorno, quindi per due settimane mi spettano... euro", ieri sera (mia risposta: cosa crede? che non l'avremmo pagata? stia tranquilla, non siamo ladri)
giovedì 27 agosto 2009
quando il solito muso
domenica 16 agosto 2009
quando le vacanze mancate
La trombosi mi impedisce di andare al mare o di prendere un aereo, e collina lago e montagna mi annoiano mortalmente.
Non è il primo anno, anzi. Sono più gli anni che ho passato da carrozzata senza vacanze che quelli con.
Però quest'anno ho malinconia e invidia per coloro che sono in giro.
Con tutto che alcuni amici sono qui e dunque vedo gente, mi pesa non essere su una spiaggia affollatissima. E, cosa che mi capita di rado, faccio i confronti con prima. Prima.
Prima non c'era volta che non partissi in estate. Magari anche solo due settimane (meno era inconcepibile, perlomeno d'estate), ma partivo. Come tanti della mia generazione, prime vacanze senza genitori dopo la maturità sulla costa romagnola.
Si guarda indietro abbellendo i ricordi già belli. Io non ne ho bisogno, erano vacanze straordinarie. Una volta partimmo in dieci, otto ragazze e una coppia. Beh, otto ragazze che si muovono in gruppo in un posto di mare non grandissimo fanno già notizia. Ci inseguivano, maschietti locali e non, la sera.
Io e la mia amica Ale iniziammo a farci prendere dal senso di incompiutezza della vacanza, quindi dopo una decina di giorni chiamammo le rispettive famiglie per supplicarle di mandarci soldi (si, non essendo nessuna di noi due figlie di genitori ricchi, arrivavamo alla supplica. Forse lei un po' meno, io di più).
Vaglia postale.
Ma dico, quanti saranno quelli che sanno o che ricordano cosa fosse (o sia) un vaglia postale?
Allungammo la vacanza fino a venti giorni, eravamo rimaste in cinque.
Che bello, fu una delle cose più belle mai vissute, pur con tutti i disagi di avere i soldi contati e di essere a piedi (più di una volta scarpinammo dalla discoteca a casa perché perdemmo l'ultimo autobus delle 4.30, nella notte pesta illuminata solo dalla luna).
D'accordo, questa malinconia sta impadronendosi di me come la bambina dell'Esorcista, quindi finisco qui.
Che almeno mi siano risparmiate centinaia e centinaia di foto delle vacanze altrui. Potrei mordere.
giovedì 30 luglio 2009
quando è ora di riprendere in mano le cose
lunedì 6 luglio 2009
quando una mattina è triste
sabato 27 giugno 2009
quando una gufaccia non riesce a prendere il volo
Non è stato tempo sprecato, VERO???
Quindici giorni fa mi sono decisa.
Preso appuntamento alla Commissione Patenti per richiedere l'idoneità ASL alla guida. Mi arriva la risposta e scopro con gioia che non devo più andare dove andai la prima volta (vicino, peccato mi avessero sospeso la patente per due anni a causa di un episodio pseudo-epilettico, tutto da dimostrare), questa volta c'è da farsi chilometri su chilometri e attraversare la città da un capo all'altro. Perfetto. Però di sabato. Un po' meglio.
Arriviamo (con autista e Moldava a seguito) poco prima dell'orario stabilito. Benché ci fosse scritto sui documenti inviati per mail ogni singolo movimento che l'aspirante guidatore dovesse fare, compreso il numero dei battiti cardiaci al minuto ammessi, c'è sempre una manica di imbecilli che interrompono la signora che fa l'appello. Li vorrei sterminare ma io non stermino le zanzare, figuriamoci gli umani.
Una ragazza viene chiamata all'appello, sembra filippina, consegna la documentazione e passa nel locale degli eletti. Mi passa prima accanto e ho la pessima idea di chiederle per che ora avesse l'appuntamento. Mi dice "9 e 20...", io ho un leggero episodio sincopatico. Tuttavia, dopo un venti minuti, viene chiamato il mio cognome, e giuliva mi avvicino al bancone. Uno mi taglia la strada, lanciandomi uno sguardo di traverso, tamarro come cantavano gli Articolo 31. E' bipede, come tutti, tranne un collega carrozzato. Si avvicina al bancone ma mi avvicino un po' anch'io, e sento la signora dire: "No! Io ho chiamato -mio cognome e nome-", tiè tamarro! Torna a sedere, va là!
Consegno tutto il consegnabile e faccio quest'altra mezz'oretta di attesa per essere visitata dalla commissione. Visitata è una parola molto grossa. Due movimenti, esame della vista, esame dell'udito tecnicissimo, con un ingegnere che mi bisbigliava parole, e quella stronza che mi analizza il movimento vuole farmi fare un test che feci già al primo tentativo, ciò significherebbe altro tempo da perdere. Eh no.
Allora col sorriso stampato in faccia racconto che ho già guidato macchine adattate in prova c/o l'ospedale, che sono pure brava a guidarle (ultima guida: applausi quando scesi, mica balle), che so quali adattamenti necessito, e via così. Niente. La stronza non è convinta, gli altri tre colleghi si, l'ingegnere non fa testo. Mi chiedono di uscire. Devono consultarsi. Merda.
Mi fanno rientrare e mi dicono: ok.
Un sospiro di sollievo interiore, esteriormente mi torna il sorriso di facciata. Invece vorrei prendere a morsi la stronza, ma questo non deporrebbe tanto a mio favore. Temo.
L'ingegnere mi fa la lista degli ausili necessari, mi mette un po' di timbri qui e là, infine mi consegna la documentazione.
Da lunedì ricerca scuola guida.
Da lunedì ricerca macchina. E qui sono messa male, perché non ho davvero idea di dove sbattere la testa.
Guiderò...
Guideròòòò...
Guideròòòòòò...
Guiiiiideeeeeròòòòòò!!!
lunedì 25 maggio 2009
quando no che non mi scordo
sabato 16 maggio 2009
quando anche delle buone notizie non dispiacerebbero
- levare e pulire il filtro - incastrato - della macchina del caffè senza sporcarsi;
- sciacquare il suddetto filtro senza che ti cada nella teglia sporca presente nel lavandino di cucina (che non è adattato, quindi la carrozza non gli va sotto, ma a fianco);
- prendere il caffè in frigo senza spetasciarlo per terra;
- prendere lo zucchero, posto ad un'altezza tale che ancora mi chiedo come abbia fatto senza farlo cadere a terra e chiamare le simpatiche formiche primaverili a raccolta;
- inserire il filtro pieno nella macchina del caffè senza bruciarsi;
- prendere il bicchiere dell'espresso ormai fatto - la tazzina non poteva andare bene, perché a causa dell'altezza del bancone di cucina non avrei visto la quantità - e portarlo sul tavolo senza scottarsi.
sabato 11 aprile 2009
quando una botta di fortuna
domenica 29 marzo 2009
È stata istituita per il 4 Aprile di ogni anno la Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale.
Un’occasione per far conoscere cosa sia una lesione al midollo spinale, quali effetti abbia sulla persona, il percorso terapeutico e psicologico, il coinvolgimento dei familiari, la ricostruzione di una vita, inevitabilmente diversa. Senza far mancare l’informazione sul percorso che la ricerca scientifica sta effettuando per trovare un modo per “riparare” il midollo danneggiato.
La lesione al midollo spinale è una patologia, o meglio sarebbe dire una condizione, di cui si sa ancora troppo poco. Si deve approfittare della giornata per divulgare non solo la conoscenza, bensì anche le esperienze delle persone che vivono questa condizione in prima persona. Bisogna sottolineare alla pubblica opinione che troppe volte le lesioni al midollo spinale sono traumatiche, a causa di incidenti stradali, sportivi o persino casalinghi, e dunque che non deve essere mai troppa la prudenza.
Il messaggio deve arrivare in primo luogo ai giovani, che sono i più colpiti dalle lesioni, affinché comprendano che l’imprudenza, fosse anche quella di un solo momento, può provocare conseguenze gravissime, che portano a un cambio radicale della propria vita, delle proprie abitudini, delle proprie aspettative.
Vorremmo inoltre che le persone colpite dalla lesione al midollo spinale vedessero riconosciuti i propri diritti, sanciti nella Legge quadro sulla disabilità n° 104/1992, e che venissero viste dagli occhi altrui innanzitutto come persone, anziché – come spesso accade – come disabili.