sabato 15 giugno 2013

quando è passato un po' di (secondo) tempo

Il giorno che sarei dovuta essere dimessa, mi sono messa a svuotare i cassetti riempiti da mesi di necessità e capricci. Però i vestiti non sono riuscita a metterli in borsa, alcuni troppo pesanti, altri irraggiungibili.
Ho la cerniera della felpa da chiudere, vedo passare una oss (che qualche anno fa mi fece incontrare sua figlia, appena arrivata dalla madrepatria - il Perù - per studiare: nel frattempo si è laureata e fidanzata) e le chiedo il favore.

Lei vede che sto impacchettando.
Le spiego che mi porto avanti, tanto poi, nel pomeriggio, arriveranno a prendermi e penseranno loro a ultimare il trasloco.
Passano cinque minuti e mentre annaspo con la testa nel cassetto delle meraviglie, mi si para davanti nuovamente questa signora: "Allora, che devo fare, dimmi tutto". Mi sono un po' commossa, dentro.

Arrivano i miei e inizio il giro dei saluti. Dura tre ore.
Sono alla fine, sto quasi per prendere l'ascensore e vedo un'amica infermiera e la caposala dentro una camera lì a fianco. Penso di salutarle ancora, ma vedo che sono impegnate. Escono loro e una carrozzina basculante, quelle carrozzine mezze sdraiate che tutti - tranne me - usano dopo intervento o lungo riposo a letto. Vedo una testa ricciolina, è quella di un bambino. Urla, piagnucolando, qualcosa. Ma non capisco.

La caposala, che mi dava le spalle, si gira: sento la sua voce un po' spezzata dire: "Dice che vuole andare a casa sua...".
Entro in ascensore senza ulteriori indugi.
E col magone torno a casa.

domenica 2 giugno 2013

quando è passato un po' di (primo) tempo

Oggi sono stata cazziata da A perché è molto tempo che non scrivo.
"Sì sì, vabbè - pensavo - saranno un po' di mesi".
Digito il titolo del blog. Sbagliato. Uhm. Un segno?
Digito il titolo del blog. Giusto.
Aaaaaaagh!!!

E' passato più di un anno.
E in tutti questi mesi ho attraversato - metaforicamente - mari e monti.
Faccio un breve riassunto?
Ma breve, eh.
[così breve che, giunta alla fine del post, ho deciso di dividerlo in parti, per la coerenza che da sempre mi contraddistingue]

Sono stata ricoverata. A lungo e in tranches.
Non solo nell'unità spinale che da anni mi accoglie, ma anche in altri reparti.
E cazzo. Io mi ero scordata come fossero gli ospedali. Era dai tempi di quel rompicoglioni di mio zio con le sue crisi respiratorie (ma che comunque, già la mattina successiva, era in grado di urlare alle infermiere) che non ne frequentavo uno "old style". E invece.
Eccomi qui, direttamente dal pronto soccorso - dove ero arrivata solo undici ore prima - in camera con una signora di cui ricordo vagamente il volto. Ricordo due cose distintamente: che mi aveva detto che faceva un caldo infernale (e non fossi stata più in là che in qua avrei urlato di gioia) e che mi aveva dato elementi per pensare che fosse molto sola.
Il giorno dopo se ne va, arriva una ragazzina di vent'anni con un problema tutto sommato gestibile.
Abbiamo interagito un po', ma non è che avessimo molto in comune.

Quella mattina conosco la dottoressa che mi avrà in carico.
Quando, dopo qualche giorno, sto decisamente meglio le chiedo se posso mollare il letto e scendere in carrozzina. Sembra accomodante. Finché.
"Le provo la pressione, va bene?"
"Sì dottoressa, ma guardi che sarà bassina".
Mi si sbianca.
"La massima è settanta e la minima non sono riuscita a prenderla!"
"Ma sì dottoressa, è normale. Un po' di giorni a letto, poi sono un po' debilitata... Posso scendere?"
"MA E' MATTA?!? Con questa pressione lei vorrebbe girare in carrozzina??? Ma lei mi sviene!"
"Ma no, guardi, al limite mi girerà un po' la test..."
"NON SE NE PARLA! Recuperi forze, domani ne riparliamo!".

Inutile dire che ho dovuto aspettare giorni, che la pressione massima non ha mai oltrepassato gli ottanta, che mi sono seduta in carrozzina per un'ora, quando un amico fisioterapista è venuto a trovarmi e si è preso la responsabilità.
Mi è bastata quell'oretta per vedere stanzoni a cinque letti, anziani malmessi in pigiama, piastrelle pavimenti pareti (vale tutto, basta che cominci per "P") che rimandavano a un'epoca passata.
Tristezza.
Da quel giorno ho aspettato il trasferimento e ho benedetto gli smartphone e il "mio" letto" super-tecnologico (di gran lunga la cosa più moderna dell'intero reparto) che mi permetteva di stare a letto senza causarmi danni.

Nel frattempo visite. Ma non di amici, a parte A [che forse proprio per questo si sente in diritto di cazziarmi]. Del personale medico e non che mi segue da anni.
Una scena mi ha fatto ridere. Entrambi miei chirurghi plastici hanno una buona fama, chi per un motivo, chi per un altro. E alla dottoressa racconto che vengo seguita da loro, lei si illumina e mi dice che li chiamerà per farmi continuare con le medicazioni più adeguate.
Una mattina, tutta emozionata, mi dice che arriverà il Dr. B.
Poco prima dell'ora di pranzo la dottoressa inveisce contro un presunto familiare che non rispetta gli orari di visita.
Lui ci prova: "No, ma guardi che non sono un familiare, sarei...", macché, non lo fa mica finire. Continua a rompere con il rispetto degli orari verso questo signore di mezz'età, camicia, maglione e un orrendo piumino verde. Lui, sornione, ad un certo punto sorride e lei si ferma. Forse capisce.
"Piacere, sono il Dr B".
La scena è originale.
Me l'ha raccontata la dottoressa verso sera.
Il Dr. B è troppo un signore per mettere in ridicolo una collega.
Che personaggio.

[vabbè, per stasera chiuderei]

giovedì 12 gennaio 2012

quando realizzi che non finisce mai

Un po' di giorni fa ero in ospedale, per cose non mediche.
E ho avuto dei tempi morti.
Allora una terapista mi ha chiesto di far vedere a una persona la manualità che ho sviluppato.

Perché è vero. Quando sei ancora in riabilitazione ti sembra che mille cose non potrai farle più. Io ricordo che vidi il mio (ora) amico S che - tetra - inseriva una moneta nel distributore automatico e prendeva una bottiglietta d'acqua. Vedevo che aveva una lesione simile alla mia, mi sembrava qualcosa di miracoloso. Mesi dopo feci la stessa cosa. Senza usare le dita, perché le mie, le nostre dita non funzionano.

Mi sono trovata davanti questo ragazzino, tetra per una piccola cretinata che TUTTI abbiamo fatto 500 volte, e neppure sappiamo (beh, io ora lo so) a che rischio andiamo incontro.
E ho visto in lui tutta la fatica del percorso intrapreso post-incidente. Il coraggio di facciata ma la paura di non farcela nel fondo degli occhi.

E non finisce mai, non finisce mai la nostra ricerca di espedienti per utilizzare un oggetto o compiere un'attività apparentemente impraticabile.
E non finisce mai la tragedia dei ragazzi che in ogni momento dell'anno, per piccole cagate, vedono la loro vita totalmente ribaltata.

mercoledì 11 gennaio 2012

quando un attimo in più

Già mi sembra un gran bel risultato aver cambiato la faccia di questo blog.
E' che proprio oggi mi è arrivata una busta con le letterine dei miei aussie bambocci, e allora ho schizzato vernice ovunque per raccontare l'effetto che mi ha fatto.

Ah, poi ne ho un'altra da raccontare, ma facciamo domani, va là.

sabato 24 dicembre 2011

quando ma è già Natale?!

[se cliccate sull'immagine forse diventa anche leggibile]

mercoledì 9 febbraio 2011

quando è difficilissimo parlare

Nel corso degli anni ho parlato a centinaia di genitori con figli con lesione spinale.
Assetati di qualsiasi tipo di informazione, e soprattutto assetati di speranza.
Mai preso la cosa sottogamba, ho sempre cercato di avere un quadro, il più preciso possibile, della situazione e di non dire inutili stronzate illusorie, però cercando sempre di portargli un po' di ottimismo.
Perché ottimista sono nata, così sono fatta.

Poi capita che devi parlare con un genitore che non è un genitore qualsiasi, ma un genitore che conosci da quando eri piccola. Allora mi sono fatta 1000 domande, ne ho selezionate un centinaio: le ho poste a persone competenti. Mi hanno suggerito cosa dire e come dirlo.
E mi è stato di grande aiuto.

Ho parlato col genitore, ed è stata durissima.
Vedere i suoi occhi arrossarsi e respingere con forza le lacrime, sentire le sue lucide parole e non potergli dire: "Sii ottimista", perché per quanto lo possa essere la situazione che descrive è esattamente ciò che è.

Ho rivissuto il mio incidente e la forza del mio genitore in quei mesi lunghissimi.
Sono stata fortunata ad avere una famiglia che mi ha sostenuto, che mi ha consolato quando c'era da consolarmi, che mi ha spronato quando c'era da spronarmi.
Se ora sono la solita testarda di sempre, la solita rompicoglioni, lo devo a loro.
Se non mi auto-commisero (...quasi mai, va beh), lo devo a loro.

E allora ho cercato di far passare questo messaggio ai genitori: siate forti davanti al letto d'ospedale, piangete quando rientrate a casa. Non rifiutate il lutto, ché di lutto si tratta, perché fa male. Ma elaboratelo fuori dalle mura della stanza d'ospedale.
Proteggete quella stanza dalle centinaia di visitatori che verranno, perché in quel letto c'è una persona che ha bisogno di recuperare forza.
E dell'80% di quei visitatori, dopo un anno, un anno e mezzo, non rimarrà traccia.

Sono cresciuta con amici stupendi e loro ci sono, alcuni ci sono sempre, altri meno, ma so che basta un fischio affinché si avventino su di me e si facciano in quattro per farmi stare bene.

Ricordo invece un sms che un mio collega mi inviò poco dopo l'operazione per il riallineamento delle vertebre: "Io per te ci sarò sempre". Infatti. Venne a trovarmi un'unica volta in sette mesi di degenza, e poi il buio. Dopo cinque anni mi chiese l'amicizia su facebook: dio, che voglia che avevo di rinfacciargli le sue parole vuote (ce l'ho ancora un po' adesso).
Ma no. Ma perché occuparsi di teste di cazzo così.
"Ignora", clic, questione chiusa.

Ma questo non puoi dirlo a un genitore.
Forse da ipocrita, però devi fargli credere che avrà sempre amici o pseudo-tali intorno.
Spero solo che sia fortunato come me.

mercoledì 4 agosto 2010

quando vieni presa per neo-patentata

Un giorno arriva la mia amica A. e, dopo due ore di chiacchiere, mi chiede di mostrarle la mia nuova auto usata, appena presa con adattamenti già sù. Fico!!!
Siamo in macchina che guardiamo un po' di robe e le dico: "Va beh, dai, butta la carrozza nel bagagliaio che andiamo a fare un giro", e quell'urlo entusiastico che mi aspettavo non lo sento. Mah.

Ok. Si parte, esco dal cortile a 5km/h, arrivo in strada (è una strada chiusa, quindi quasi sempre deserta) e mi accorgo che non accelero, freno ma non accelero. Lo dico all'amica che con tono un po' agitato mi dice: "Vediamo di capire il perché prima di andare sulla strada principale!!!", ma io avevo visto i genitori di un mio caro amico e mi potevo forse risparmiare di mostrarmi alla guida, ovvio che no!

E va bene, finito con loro parcheggio e scopro che avevo tirato giù una levetta che invece doveva stare su. Si parteeeeeeee!
"C'è il dosso dell'attraversamento pedonale"
"E' rosso"
"Frena"
Ok. Lo so. Devo pagare l'ansia del trasportato come se fossi una neopatentata. Che palle.

La cosa paradossale è questa. Ho guidato anni e anni, e sono un ottimo guidatore (cit.), ora guido con altre robe, un pomello strano al volante e una leva con acceleratore e freno, ma guido! Cioè, ho tutta l'esperienza su strada, mi manca quella dei comandi ma non credo di metterci molto a imparare.

Parentesi tecnica. Mano sinistra incastrata in un accrocchio con un pomello che è attaccato al volante. Mano destra cambia da ferma il cambio automatico, poi si infila in un altro accrocchio simile a una manopola posta in cima a una leva: spingendo in avanti freni, ruotando la manopola verso destra acceleri, frecce ed altri comandi sono all'interno della manopola, e si schiacciano alla bisogna col dorso della mano.

Comunque l'amica rimane spiaccicata contro il sedile per i primi 10 minuti.
Alla trentesima rotonda - che per me sono le cose più difficili da fare, tra rotazione volante, inserimento frecce, frenata ed accelerazione - si tranquillizza. Propone itinerari. Si guarda addirittura intorno!!!

E' veramente difficile spiegare la contentezza che deriva dal riprendere una macchina in mano dopo qualche anno, poter decidere dove andare, impostare il proprio stile di guida. Per una persona che ha sempre amato guidare, poi.
Ecco: entrare e uscire dalla macchina... è lì che bisogna lavorare. A lungo.
Comunque un traguardo importante raggiunto, e io sono davvero felice.

martedì 27 luglio 2010

quando un concerto e una riflessione

Quando vado a uno spettacolo o ad un concerto, mi guardo molto intorno, sono curiosa.
Si arriva prima, si chiacchiera con l'accompagnatore e, soprattutto se lo spettacolo è in uno stadio, mi piace da morire vedere tutte le api che piano piano riempiono ogni cella.

Poi porgo lo sguardo ai miei vicini, quelli nello spazio "acciaccati", gente in carrozzina per i motivi più disparati, oppure con problemi mentali, oppure ciechi, oppure con malformazioni. Alcune volte è solo un piede rotto.

C'è sempre qualcuno che mi colpisce in modo particolare, non necessariamente un disabile, talvolta un accompagnatore. A parte che ho visto un gruppo di accompagnatori di una comunità che hanno bevuto birra a fiumi, e non mi è sembrato molto opportuno, perché tra di loro ci sarà stato pure uno che doveva guidare.

La persona che più mi ha colpito è un ragazzo, avrà potuto avere sui trent'anni. Non so quale patologia potesse avere, camminava e si muoveva, ma era senza la giusta forma, piccolo, piegato da un lato, e ciò lo portava a sembrare scoordinato. Invece aveva elaborato, negli anni, tutte le possibilità di movimento a lui concesse, che non sono come quelle delle persone fisicamente sane.

Non voglio fare l'ipocrita, quindi ammetto che quando l'ho visto l'ho un po' osservato, poi ho distolto lo sguardo perché mi faceva pietà. Si, una tetraplegica che prova pietà per una persona che, a ben vedere, è molto più autonoma di lei. La mia pietà era per la sua giornaliera odissea, per la fatica, per gli sguardi delle persone (che poi non sono tanto diversi dal primo sguardo che io stessa gli ho lanciato), per la forza necessaria ad affrontare una vita apparentemente molto complicata.

Eppure. Osservandolo meglio, in un secondo tempo, ho visto un ragazzo allegro, emozionato per lo spettacolo che stava per cominciare, molto comunicativo. E ogni volta vedo quante persone affrontino le traversie quotidiane con dignità e positività.

Altro che disabili lagnosi e non produttivi, come siamo spesso dipinti.
Qui c'è la forza.
Qui è il motore.

(spettacolo molto bello, grazie)

venerdì 9 luglio 2010

quando è già luglio

Tre mesi senza comunicare significa tre mesi di problemi di salute, con visite, ricoveri, trattamenti; significa tre mesi di burocrazia, ASL, avvocati, comune; significa tre mesi di testa altrove, impegnata non solo nelle mie piccole (eufemismo) beghe, ma anche in beghe più grandi, quali le due norme della manovra che avrebbero colpito i veri invalidi.

Duemila persone in piazza Montecitorio il 7 luglio, disabili, familiari, volontari, associazioni da ogni parte d'Italia, in rappresentanza di chi - come me e i miei familiari - è stato impossibilitato a raggiungere Roma. Un grazie, di cuore, a tutti loro.
E un grazie particolare a Franco Bomprezzi, grande giornalista, talmente grande da essere nominato Cavaliere della Repubblica dal nostro Presidente della Repubblica. I suoi post sul blog Francamente sono stati determinanti per chiarirci le idee e capire perché puntare - metaforicamente - i piedi fosse così importante.

Ed è stata vittoria, ma più che vittoria è stata "non resa", visto che le cose sono rimaste immutate, visto che le famiglie con disabili a carico si impoveriscono anno dopo anno, visto che con l'indennità di accompagnamento, questi 480 euro mensili, non si paga neppure un terzo del costo mensile per un/una badante.

Io forse sono una voce fuori dal coro, e credo sia necessaria una revisione accurata dei criteri con cui viene attribuita l'invalidità. Non è giusto mettere sullo stesso piano un paraplegico con una lesione "bassa", ovvero con una certa autonomia e in grado di lavorare, di muoversi, di integrarsi nel tessuto sociale, e un tetraplegico con lesione "alta", che gli impedisce di respirare, di parlare, di mangiare.
Non è questo il mio caso, io respiro, parlo - fin troppo - e mangio, ma se non posso neppure far pipì da sola, ecco, non mi considero propriamente autonoma. Tuttavia non sono così miope da non vedere chi sta peggio, chi non può essere lasciato solo un attimo, chi rischia il soffocamento per il tubo del respiratore otturato.

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
E' l'articolo 3 della Costituzione, e sulla "pari dignità sociale" ci sarebbe molto da scrivere.
Ma non voglio tediare, anche perché credo che le persone intelligenti possano trarre da sole le proprie conclusioni.

E' un luglio caldo, caldissimo, in tutti i sensi. Le ruote della carrozzina si sono un po' sgonfiate proprio per il caldo, e muoversi con leggerezza, che sarebbe poi l'intento di questo blog, è stato impossibile.
Ma ora una bella gonfiata a 9 atm e via, un po' più leggera.

sabato 10 aprile 2010

quando tre emboli metaforici

La mattina in casa mia c'è un traffico che neanche sull'A1 tra Barberino del Mugello - Incisa, intorno alle 18.30.
E l'infermiera, e il dottore, e le assistenti domiciliari, è tutto un va e vieni, con facce diverse in continuazione.

Mi è disgraziatamente capitata un'assistente domiciliare che non mi è antipatica, ma è un'incapace. Ogni tanto viene in coppia, stavolta è arrivata sola. Quando ne ho sentito la voce mi è presa una sincope. Per giustificare la mia faccia atterrita, l'ho messa sulla forza: "Se io perdessi l'equilibrio nel passaggio tra letto e carrozzina, tu non riusciresti a contrapporti, sei magra ed esile, ti schiaccerei". Il genio, con la voce da gallina: "Ma perché dovresti perdere l'equilibrio?".
"Perché mi è successo l'altro ieri, con un'amica. Ho molte contrazioni", ed era vero, vero vero.

In venti minuti è riuscita a farmi andare fuori di testa.
Alle cose a cui ci si arriva con la logica, non ci arriva. E vabbè, ha un QI basso, che ci posso fare. E io spiego. E lei sbaglia.
Alle cose a cui ci si arriva con la professionalità, non ci arriva. E questo mi irrita molto. "Ma io da te non ci vengo mai, non posso sapere tutto!", con una voce da gallina che mi assorda.
Alle cose a cui si arriva o con la logica o con la professionalità, non ci arriva. Non è solo questione di QI basso, qui c'è anche un misto di superficialità e di mancanza di rispetto.

Alla terza volta, e ho detto terza, che mi chiedeva qualcosa legata alla sensibilità tattile (l'ultima era il cerotto, mi strappa un cerotto dal ginocchio con energia e poi, sempre con la voce da gallina, mi chiede: "Oppps! Ti ho fatto male?", mi rotolano gli occhi nelle orbite, finché mi ricompongo e le ripeto per la terza volta: "Ti ho già detto che non sento, potresti darmi fuoco al ginocchio e non lo sentirei lo stesso. Presta sempre attenzione, così non sbagli".

E infatti.
Quella mattina avevo male alla schiena, ma forte, che di mattina è difficile ce lo abbia. Di solito germoglia in mattinata ma fiorisce all'ora di pranzo (quasi tutti i carrozzati ci fanno i conti, a periodi, d'altronde rimaniamo seduti 12 ore al giorno, più o meno, chiunque avrebbe mal di schiena. Solo che i tetra non hanno i muscoli che possano sostenere la spina dorsale, cioè li hanno ma non funzionano, e allora i fisiatri ti dicono che è un dolore neuropatico, non un dolore reale. Oh, io e i miei amici saremo un'eccezione, ma se usiamo determinate posture per un'oretta il dolore è come anestetizzato. Neuropatico un corno).
Mi fa girare inutilmente nel letto una, due, tre volte, poi le dico: ok ora basta, ho mal di schiena, è una staffilata ogni volta.

Glielo dico ma forse è sorda oppure ha un filtro: inbounding cretinate: accettate, inbounding cose serie: rifiutate. Raggiungiamo l'apice con l'inserimento della pancera, che sembra serva a tenere la schiena in una postura migliore: le faccio vedere come si mette, giuro che l'ho spiegato come l'avrei spiegato a un bambino deficiente di tre anni. Niente. E' al contrario. L'interno è diventato l'esterno, e viceversa.

Mi esce un sospiro che crea una micro-turbolenza all'interno della mia stanza.
"E' al contrario".
"No! Mi hai fatto vedere proprio così!"
"E' al contrario, ti dico! Come ti spieghi che la chiusura del velcro è interna e non esterna?!" (campionessa degli imbecilli del pianeta, n.d.r.)
La guarda, mi guarda, ha un punto interrogativo in viso, la guarda ancora.
Si illumina! Cazzo, vai che ha capito!
"Ahhhhhhhh! Ma non è al contrario, è al rovescio, eh. Girati, dai"

Credo sia stato quello il momento in cui mi è partito l'embolo (metaforico) e le ho urlato:
"No, basta sono stufa! Ma neppure una pancera sai mettere?!"
Lei, urlando con voce da gallina: "Ma guarda che sei l'unica utente che la indossa!"
"E non ti hanno insegnato a scuola - si, ha fatto pure la scuola da operatrice socio sanitaria, io prenderei chi le ha dato l'attestato, e lo prenderei a bastonate tanto da causargli qualche frattura e aver bisogno di questa persona, poi lo farei assistere per un sei mesi esclusivamente da questa qui, sarebbe una pena del contrappasso adeguata) - come cazzo mettere una pancera?!"
"Capirai, non mi posso ricordare tutto!!!"

Secondo embolo, perché non è che non si ricorda tutto, è che non sa fare niente, ma niente veramente vagamente attinente al suo lavoro. Ma fanne un altro, risparmia i disgraziati, anche te.
"Basta, chiama Dasvidania e vai, grazie. Per oggi basta, abbiamo finito".
Chiama Dasvi - che noia questa Dasvi, ne dovrò scrivere, lo so che lo ripeto da sei mesi, ma sono un po' lenta - e poi si mette con quella faccia da topo piccato a fianco del letto e dice: "Voglio proprio vedere cosa fa di diverso!".

Terzo embolo, fortissimo, urlatore: "Vatteneee, ti voglio fuori da casa mia, perché ora chiamo la tua cooperativa e mi incazzo, quindi vattene fuori dai piedi e da sola non tornare! Vai, fuori, ciao!"

A chi può pensare che sono stata un po' dura, ok, vero, vero. Ma fatevi girare come un'involtino quindici volte quando avete male alla schiena. Tanto male. Spiegate cose che non dovrebbero neppure essere spiegate e guardate mentre la mente fa esattamente il contrario. Trattenetevi dall'urlare per 21 minuti.
Poi uno sclera! Perché se fosse solo stupidità, pazienza. Ma qui c'è stata grandissima mancanza di attenzione e relativa mancanza di rispetto nei miei confronti. Sbagli, te ne rendi conto, taci! No! Doveva sempre avere l'ultima parola su tutto!

Ok, mi sono sfogata anche qui, oltre che con la poveraccia che ho beccato al telefono. Lei non c'entrava niente, ma i coordinatori che si occupano di me erano via, e questa martire ha avuto la pessima idea di dirmi: "Vuole che riferisca qualcosa?". Ogni due minuti di urla riacquistavo un tono di voce normale e mi scusavo, sapendo che la responsabilità non era sua, poi attaccavo ancora.
Secondo me ha un trauma da stress.
A me è passato.
Il giorno dopo.

martedì 9 marzo 2010

quando una si dimentica le cose


Neppure a dirlo che domani avevo la possibilità di guidare per la prima volta senza istruttore. E per di più da sola.
E la neve sta scendendo copiosa.
Questa è la patente della neve, è scritto nelle stelle.
Il giorno dell'esame non nevicava, però diluviava. Unico giorno di pioggia della settimana (poi, appena arrivata a casa, ha subito smesso).
Vi affronterò ostili agenti atmosferici!
Mi chiamo Massimo Decimo Meridio! (o forse no)

sabato 13 febbraio 2010

quando la nuvoletta di Fantozzi

Arrivo da giornate dure, piene di problemi, e ieri sera mi chiedevo se fosse il caso di fare scuola guida l'indomani, cioè oggi.
Ma ormai.

Stamane mi sveglio, poche contrazioni, niente mal di schiena e penso: fico! Non nevica nemmeno! Perché per TRE volte il cielo ha versato fiocchi bianchi in perfetta corrispondenza della mia guida prenotata. Due volte la guida è stata annullata, una volta ho guidato con qualche fiocco a farmi compagnia.

Stamane c'è una luce pazzesca, e io sono fotosensibile, un familiare si fa questi quaranta chilometri, così arriviamo a scuola guida in anticipo, come ci è stato detto. Tutto perfetto.
O quasi.

Entra l'istruttore e mi dice: non va l'acceleratore.
Mi ha fatto stare lì ancora un po', mentre tentava di aggiustarlo, ma niente.
Altri quaranta chilometri per tornare a casa con le pive nel sacco.
Non ho avuto bisogno di guardare in alto per scorgere la nuvoletta del Rag. Ugo Fantozzi.

martedì 2 febbraio 2010

quando mandaci una cartolina

"Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca
Ed il giornale aperto sulla pagina sportiva
Mentre stai sul bagnasciuga
Beato tra le braccia di un tramonto."

(Carmen Consoli)

Oh, se ne sono successe di cose quest'anno.
Alcune belle, alcune brutte, come al solito.

E' tornata a casa, per un mesetto, la nostra amica con tutta la famiglia. E' stato bello rivederli dopo tanto tempo. Mi ricordo ancora quando tornò a casa con il primo figlio, lei ci fece assistere al cambio di pannolino, poi mise il bebé in mezzo al letto matrimoniale. Noi due andammo in sala a far due chiacchiere, poi ci prese la curiosità e venimmo a vedere cosa facevi. Eri semi-sdraiato sul lettone, e facevi sorridere il bebé con il solletico e le facce buffe.
Era la prima volta che ti vedevo con un bimbo in fasce, e io e A rimanemmo un po' compiaciutamente stupite.
L'ex-bebè ora porta degli occhialetti blu e va a scuola, è un bambino generoso, aperto e simpatico. Ti piacerebbe.

E' nato un altro bebé, e qui i bebé si moltiplicano come funghi, insomma i vecchi giovani del gruppone si stanno dando da fare, dovresti vedere quando ci troviamo che casino non c'è con tutti questi bimbi (in una di queste serate ho incrociato tua sorella, pensa un po'!). Che comunque sono fantastici. Ti piacerebbero.

Ti piacerà meno il fatto che, causa crisi, alcuni hanno perso il lavoro, e sono andati in crisi.
E' una brutta situazione, di certo meno brutta di tanti che, nella stessa situazione, avevano un solo stipendio e nessun genitore alle spalle che possa tenderti la mano, però brutta lo stesso.

L'A2 (sembra un'autostrada) ha cambiato casa ed è andata a vivere... urca, ho un dubbio. Se non ricordo male dalle parti della sbarra, dove ci trovavamo in gioventù! Invece la moglie di L continua a dirgli che ci vuole una casa più grande, ma L sostiene che con una casa più grande aumenterebbe in proporzione il casino che la moglie genera, quindi niente.

La "tua" biondina preferita è sempre fidanzata. Ogni tanto scalpita per raggiungere un nuovo traguardo, ma viene stoppata. In ogni caso è uno di quei rari casi dove più diventa grande, più è gnocca. Io non appartengo alla categoria, forse sono dimagrita, ma ho un viso pieno di fossette estremamente fastidioso.

Ieri la F mi ha mandato un messaggio, mi ha scritto che le spiace per ciò che è accaduto, soprattutto le spiace sentirmi star male. Inutile dire che mi ha commosso un po'. Sai, ci sono certi tipi di legami che, volenti o nolenti, rimangono saldi. Malgrado le distanze, malgrado non ci si veda o non ci si senta più così spesso.
Ma siamo cresciuti tutti insieme, ci siamo scelti come amici, e quindi ci sentiamo uniti da un filo invisibile, che arriva fino a te a a M.

Cosa credi?
Che ti avremmo lasciato in pace?
Giammai!

sabato 12 dicembre 2009

quando un account e pure un incivile ignorante e...

Non so se si sia capito, probabilmente no, ma non riuscivo più ad accedere al mio account, ogni volta che tentavo di entrare mi voleva far aprire un altro blog (no, grazie), e niente accesso alla casella di posta.
Però oggi, et voilà, sono qui. In casella ho trovato alcuni commenti al blog in un simil-rumeno, oltre a una mail piccata per una mancata risposta. Ma che ne so. Che diavolo sia successo mi è ignoto.

Mattina, ore 10.30. Sono davanti al parcheggio per disabili dove abbiamo parcheggiato. Dietro ce n'è un altro. Ci parcheggia uno, senza pass. Entra in un locale dove entrerò a breve anche io. Mentre fumo una sigaretta, lo seguo con lo sguardo, lui niente, mi vede ma niente. Poi torna indietro a prendere cose in macchina, gli chiedo se ha il pass, mi dice di no. Gli dico che è un parcheggio per disabili, gli chiedo (urlando, perché si stava allontanando e perché ero nera) perché abbia parcheggiato lì. Si volta mezzo secondo e mi risponde "Per comodità".
Ecco. Qui io mi vergogno, mi vergogno veramente di persone così ignoranti, italiane come me.
Non è la solita filippica di quella che prima, invece... No. Mai parcheggiato in vita mia in un posto per disabili. Piuttosto mezz'ora a girare come una trottola.

L'idiota se ne entra di nuovo nel locale, deve sbrigare una pratica.
Deve essere stato felice di vedermi entrare. Quando ad alta voce, mentre parlava con la commessa, gli ho detto davanti agli altri clienti: "Per comodità?! Lei parcheggia in un parcheggio per disabili per comodità?". Seguito battibecco con cui non tedierò nessuno, ma avrei voluto volentieri infilargli la testa in un cesso strabordante di escrementi (ho reso l'idea?).

Comunque il locale si chiamava "Scuola Guida" e a fare la prima lezione di guida, signore e signori, c'era la sottoscritta. Che giust'appunto la sera prima aveva fatto tardi, involontariamente, con un'amica, e che si è presentata in uno stato di dormiveglia. No, beh, l'aria gelata mi aveva fatto acquisire un certo livello di lucidità.

Che bello guidare. Che bello girare. Vedere luoghi, persone, cose.
Non mi interessa scendere, l'importante è salire e partire.

Non sono stata una chiavica, non sono stata eccelsa, qualche cazzata l'ho fatta, insomma me la sono cavata. L'istruttore è molto simpatico e mi ha parlato delle cose più disparate. Credo non abbia mai usato i suoi pedali.
Salire in macchina è la cosa che richiede più tempo, ho gambe rigide come legni, ma una volta dentro, sono andata, godendomela proprio. Ho incrociato guidatori molto più chiaviche di me, e senza la dicitura "Scuola Guida" dietro.

Ora alla ricerca dei soldi per la macchina. E della macchina. E degli ausili. La strada è ancora lunga.

P.S. Stasera non rispondo ai commenti del post precedente, perché si è esaurito il mio tempo di tolleranza alla scrittura e allo schermo del pc, prometto che lo farò a breve.

giovedì 12 novembre 2009

quando una serata tetra

Giovedì.
Dr. House.
Mmmmmm, lo hanno messo su un'altra rete.
Mmmmmm, è una puntata vecchia.
Oh, santo cielo.
E' l'episodio del tetraplegico che con la carrozzina elettrica che si butta in piscina.
Già visto, poi dai, no, non ho voglia.
Cambiamo.
Canale numero tre.
Oh, un film.
Oh, Clint Eastwood.
Oh, no.
Million dollar baby, la pugile che diventa tetrissima.

Per me uno dei due ha fatto contro-programmazione.
Facciamo che spengo la tv.

sabato 31 ottobre 2009

quando il materasso ad acqua

Eccomi.

E' che tra settembre e ottobre sono successe molte cose, quasi tutte sgradevoli se non proprio brutte, e non avevo testa per scrivere. Nessuna ispirazione.

Tra le altre ci sono quelle che mi riguardano, che sono:

  • febbriciattola ingiustificata
  • dita dei piedi come quelle del pesce palla, se solo il pesce palla avesse i piedi e pure le dita
  • piaga all'osso sacro peggiorata malamente nel giro di qualche giorno, e questo non è mai una cosa buona
  • coagulazione del sangue impazzita, che se mi faccio un taglietto con il bordo di un foglio probabilmente muoio dissanguata.

Tutte queste cose insieme. Ero un po' nervosetta.

Ora la febbriciattola è andata, delle dita dei piedi non so più nulla perché adesso indosso le calze, la piaga sta migliorando (avete mai visto quanto fa schifo una piaga da decubito? a me una volta la fisiatra, per mostrarmi il miglioramento, mi fece vedere a tradimento una foto di una mia piaga, è mancato poco che un attacco di tachicardia mi portasse all'obitorio), la coagulazione è sempre pazza ma stabile (il che è bizzarro: limiti i medicinali e il livello di coagulazione dovrebbe scendere, invece no, boh).

Mi hanno dato il materasso ad aria. Però i miei familiari sono stati a lungo convinti, prima che arrivasse, che si trattasse di un materasso ad acqua, che a me ricorda tanto Jerry Calà, non so se perché in uno dei suoi film (tipo: "Vado a vivere da solo") ce l'aveva o se perché è un'associazione così, senza motivo.
Già sento gli urletti di invidia da parte di quelli che sono costretti alla dura legge del lattice, tuttavia per un tetra il materasso ad aria non è una goduria.

Innanzitutto non ne sento giovamento, perchè di fatto ci appoggio solo le spalle, essendo il resto un po' sul cuscino e un po' senza sensibilità tattile (però la piaga pare trarne giovamento). Inoltre i passaggi carrozza-letto ve li raccomando. Sarà questione di abitudine ma rischio sempre il volo. Un materasso ad aria non ha la stessa sostanza di un materasso di lattice, quindi le mani affondano e tu non sai che cazzo fare. Per fortuna c'è Dasvi che si prende cura di me.

Ah, mi toccherà raccontare di Dasvi, ma questo sarà un altro post.

mercoledì 28 ottobre 2009

quando tutti tranquilli

No, non sono un'amica, non sono un familiare, sono proprio io.
Non scrivo neanche da rianimazione ma dalla mia stanza.
Ci sono!
Un po' di cose in questi (però) 50 giorni mi hanno tenuta lontana, cose gravi, qualcuna legata alla mia salute ma niente di serio-serio, ma se domani non ho imminenti rotture di scatole, torno in onda.
Ora no perché, dopo aver passato mezza giornata in reparto, non tengo gli occhi aperti.
Grazie a tutti per l'affetto!

mercoledì 9 settembre 2009

quando è finalmente mercoledì

Se ne va.
Il nostro incubo se ne va.
Non è stato solo il mio incubo, bensì anche quello dei miei familiari.
La badante.
Due settimane di una pesantezza mostruosa.
Lei. Ignorante. Stupida. Maleducata.
Tra le perle.
  1. "Io faccio questo lavoro per umanità, non per i soldi!" (mia risposta: allora non ha bisogno del nostro stipendio)
  2. "Lei dovrebbe essere più rispettosa!", urlato a distanza alle 23.40 di sera perché ero in ritardo sull'orario di marcia (mia risposta: innanzitutto non urli, inoltre io porto rispetto a tutti, se ho fatto un errore sia comprensiva, anche lei ne fa)
  3. "Io pretendo che lei mi scriva su un foglio che la responsabilità è sua!", sul fatto che non si trova più la cazzo di amuchina per disinfettare le buste per il cateterismo (mia risposta: lei ufficialmente non è neppure in questa casa, il problema non esiste)
  4. "Perché lei si sveglia alle otto e mezza fresca come una rosa, ma io non sono una macchina, sono stanca!", in relazione al punto n° 1 (mia risposta dopo 5 minuti di training autogeno per non esplodere: non si permetta di dire una cosa come questa, lei non ha idea di come io mi svegli la mattina, spesso già con un mal di schiena che so che mi sfiancherà per l'intera giornata, quindi non parli di cose che non sa)
  5. "Io domani faccio l'ultimo giorno, quindi per due settimane mi spettano... euro", ieri sera (mia risposta: cosa crede? che non l'avremmo pagata? stia tranquilla, non siamo ladri)
Si, proprio una persona di merda.
Domattina, spero prima della mia sveglia, si leva dai coglioni.
Oh, che bellezza. Oh, che sollievo. Oh, che gioia. Arriva una ragazza russa domani. Speriamo bene.
E comunque ho capito una cosa. Porto rispetto solo a chi se lo merita, a 'sta stronza no.
(e non sono neanche mestruata!!!)

giovedì 27 agosto 2009

quando il solito muso

Musona.
Sono una malefica musona, perché la moldava è partita per le vacanze - tornerà ma solo per un paio di settimane - e io non digerisco la badante nuova. Che praticamente non conosco. Non è che non digerisca lei, non digerisco il cambiamento. Tutti i miei familiari che sono tutti gentili, perché abbiamo bisogno di questa donna. Non che solitamente siano maleducati, ma cercano di trasmettere allegria e leggerezza.

Ma vaffanculo.
Nel frattempo devo iniziare a pensare a come diavolo reclutare una badante nuova: questa è "vecchia", un po' triste, non so se è tanto intelligente.
L'altro giorno la mia assistente domiciliare le ha detto: "A lei (cioè me, n.d.r.) manca la moldava, sono come sorelle". E una delle cose che la moldava mi disse quando mi vide imbufalire per l'annuncio della sua definitiva partenza fu: "Cosa ti aspettavi? Che rimanessi con te, lontano dalla mia famiglia, per sempre? Non siamo mica sorelle".

E non so a chi legge, ma a me questa cosa mette tristezza.

L'angolo dele buone notizie: le vacanze sono quasi finite per tutti; al mio amico L è piaciuto molto il regalo di natale-compleanno che gli ho comprato, svenandomi (stendiamo un velo sui circa 6 mesi e mezzo trascorsi dal suo compleanno); settimana prossima si torna in pista con la routine della giovane (ehm) tetraplegica. Rapporti sociali, evviva evviva.

domenica 16 agosto 2009

quando le vacanze mancate

Quest'anno niente vacanze, nada de nada.
La trombosi mi impedisce di andare al mare o di prendere un aereo, e collina lago e montagna mi annoiano mortalmente.
Non è il primo anno, anzi. Sono più gli anni che ho passato da carrozzata senza vacanze che quelli con.

Però quest'anno ho malinconia e invidia per coloro che sono in giro.
Con tutto che alcuni amici sono qui e dunque vedo gente, mi pesa non essere su una spiaggia affollatissima. E, cosa che mi capita di rado, faccio i confronti con prima. Prima.
Prima non c'era volta che non partissi in estate. Magari anche solo due settimane (meno era inconcepibile, perlomeno d'estate), ma partivo. Come tanti della mia generazione, prime vacanze senza genitori dopo la maturità sulla costa romagnola.

Si guarda indietro abbellendo i ricordi già belli. Io non ne ho bisogno, erano vacanze straordinarie. Una volta partimmo in dieci, otto ragazze e una coppia. Beh, otto ragazze che si muovono in gruppo in un posto di mare non grandissimo fanno già notizia. Ci inseguivano, maschietti locali e non, la sera.
Io e la mia amica Ale iniziammo a farci prendere dal senso di incompiutezza della vacanza, quindi dopo una decina di giorni chiamammo le rispettive famiglie per supplicarle di mandarci soldi (si, non essendo nessuna di noi due figlie di genitori ricchi, arrivavamo alla supplica. Forse lei un po' meno, io di più).

Vaglia postale.
Ma dico, quanti saranno quelli che sanno o che ricordano cosa fosse (o sia) un vaglia postale?
Allungammo la vacanza fino a venti giorni, eravamo rimaste in cinque.
Che bello, fu una delle cose più belle mai vissute, pur con tutti i disagi di avere i soldi contati e di essere a piedi (più di una volta scarpinammo dalla discoteca a casa perché perdemmo l'ultimo autobus delle 4.30, nella notte pesta illuminata solo dalla luna).

D'accordo, questa malinconia sta impadronendosi di me come la bambina dell'Esorcista, quindi finisco qui.

Che almeno mi siano risparmiate centinaia e centinaia di foto delle vacanze altrui. Potrei mordere.

giovedì 30 luglio 2009

quando è ora di riprendere in mano le cose

Avevo detto chiaramente, che più chiaro non si può, alla moldava (si, basta con la "m" maiuscola) di non toccare la mia scrivania in un pomeriggio in cui io ero fuori.
Torno, le faccio un ennesimo favore (perché il tempo serve a smaltire la rabbia e a ritrovare la propria indole tranquilla) e scopro che una pila di documenti non sono nell'ordine in cui li avevo lasciati. Non ce la faccio. M'incazzo.

Evidentemente poca fiducia.
Forse, visto il mio divieto, voleva controllare che non ci fossero documenti con cui la imbrigliavo.
La tentazione, fortissima, è stata quella di fare una cosa marcia a danno suo e del marito. Ma io non sono marcia. Non ancora, almeno.
Ma dio che nervi.

Ora basta. Lavatrice mentale e si riparte.
Lasciamo il mio fegato in santa pace e concentriamoci sulle cose.
Ok.
Priorità uno.
Inviare documenti studio avvocati n°1.
Priorità due.
Inviare documenti studio avvocati n° 2.
Priorità tre.
Vedere le prime tre puntate di Lost che lunedì mi sono persa.
(peccato non poter saltellare già alla priorità tre)

Annuncio.
Devo e voglio aggiornare il blog più spesso perché sto diventando troppo pigra, quindi mi servono cazziatoni. E nel frattempo saluto l'amica lontanissima, a cui devo scrivere da circa tre mesi. Scusa, ma ce la farò. Oggi qui 43° gradi percepiti, non ti lamentare se fa freschino, laggiù!

lunedì 6 luglio 2009

quando una mattina è triste

Mi sveglio.
La Moldava mi porta la colazione. E appena ho finito mi dice che a ottobre ci lascerà.
L'ho messa in regola, mi sono sbattuta per il ricongiungimento familiare, le ho prestato soldi a più riprese, ed ora, non appena suo marito farà richiesta per il permesso di soggiorno, ha deciso che non può vivere lontana due chilometri da suo marito.

Mi disse: "Saprò ricompensarti" quando passai ore per capire quali documenti servissero e come fare richiesta per il ricongiungimento familiare, infatti la ricompensa è arrivata.
Si chiama "abbandono".
Grazie.

sabato 27 giugno 2009

quando una gufaccia non riesce a prendere il volo

Prima di tutto: ho risposto per mezz'ora ai commenti del post sul caffè.
Non è stato tempo sprecato, VERO???

Quindici giorni fa mi sono decisa.
Preso appuntamento alla Commissione Patenti per richiedere l'idoneità ASL alla guida. Mi arriva la risposta e scopro con gioia che non devo più andare dove andai la prima volta (vicino, peccato mi avessero sospeso la patente per due anni a causa di un episodio pseudo-epilettico, tutto da dimostrare), questa volta c'è da farsi chilometri su chilometri e attraversare la città da un capo all'altro. Perfetto. Però di sabato. Un po' meglio.

Arriviamo (con autista e Moldava a seguito) poco prima dell'orario stabilito. Benché ci fosse scritto sui documenti inviati per mail ogni singolo movimento che l'aspirante guidatore dovesse fare, compreso il numero dei battiti cardiaci al minuto ammessi, c'è sempre una manica di imbecilli che interrompono la signora che fa l'appello. Li vorrei sterminare ma io non stermino le zanzare, figuriamoci gli umani.

Una ragazza viene chiamata all'appello, sembra filippina, consegna la documentazione e passa nel locale degli eletti. Mi passa prima accanto e ho la pessima idea di chiederle per che ora avesse l'appuntamento. Mi dice "9 e 20...", io ho un leggero episodio sincopatico. Tuttavia, dopo un venti minuti, viene chiamato il mio cognome, e giuliva mi avvicino al bancone. Uno mi taglia la strada, lanciandomi uno sguardo di traverso, tamarro come cantavano gli Articolo 31. E' bipede, come tutti, tranne un collega carrozzato. Si avvicina al bancone ma mi avvicino un po' anch'io, e sento la signora dire: "No! Io ho chiamato -mio cognome e nome-", tiè tamarro! Torna a sedere, va là!

Consegno tutto il consegnabile e faccio quest'altra mezz'oretta di attesa per essere visitata dalla commissione. Visitata è una parola molto grossa. Due movimenti, esame della vista, esame dell'udito tecnicissimo, con un ingegnere che mi bisbigliava parole, e quella stronza che mi analizza il movimento vuole farmi fare un test che feci già al primo tentativo, ciò significherebbe altro tempo da perdere. Eh no.

Allora col sorriso stampato in faccia racconto che ho già guidato macchine adattate in prova c/o l'ospedale, che sono pure brava a guidarle (ultima guida: applausi quando scesi, mica balle), che so quali adattamenti necessito, e via così. Niente. La stronza non è convinta, gli altri tre colleghi si, l'ingegnere non fa testo. Mi chiedono di uscire. Devono consultarsi. Merda.
Mi fanno rientrare e mi dicono: ok.
Un sospiro di sollievo interiore, esteriormente mi torna il sorriso di facciata. Invece vorrei prendere a morsi la stronza, ma questo non deporrebbe tanto a mio favore. Temo.

L'ingegnere mi fa la lista degli ausili necessari, mi mette un po' di timbri qui e là, infine mi consegna la documentazione.
Da lunedì ricerca scuola guida.
Da lunedì ricerca macchina. E qui sono messa male, perché non ho davvero idea di dove sbattere la testa.
Guiderò...
Guideròòòò...
Guideròòòòòò...
Guiiiiideeeeeròòòòòò!!!

lunedì 25 maggio 2009

quando no che non mi scordo

Eh, lo so.
Quaranta sono tanti, sì.
No, non cominciare con la menata sul declino fisico, i capelli tanto li perdevi già a vent'anni. E gufavi anche me, mi dicevi che li avrei persi anch'io.
Tiè!

Sono ancora tutti qua e mi tengono un caldo della madonna. Perché forse non lo sai, ma oggi qui 33° e condizionatori a palla. Io ti vedo. Ti vedo sguazzare nell'acqua cristallina di Turquoise Bay, e a parte esaminare ai raggi X ogni femmina sotto i trenta e sopra i diciotto, ti vedo sghignazzare quando ti infili nelle nostre realtà attualmente fatte da pelle appiccicaticcia, gocce di sudore, starnuti, 730 da consegnare, code in tangenziale, fondoschiena diventati a forma di sedia da ufficio, bambini che trovano la notte interessante come momento per mettere alla prova le proprie corde vocali, stanchezza cronica, pance pronte per sfornare bimbi dai nomi improbabili, riunioni di condominio dove c'è un rapporto condomino:zanzara=1:1000, e altro. 

Che vuoi, sono queste le nostre vite.
Routine. Che poi non è che sia necessariamente tutto palloso, deo gratia.
Però preferirei fare insieme a te una sguazzata a Turquoise Bay. Guarda un po'.
E non rompere i coglioni dicendo che ti rovino la piazza: anche tu la rovini a me, eh!


(siccome sono sempre pedante, ti ricordo che quando io proposi di raggiungere questa zona non prendesti neppure in considerazione l'idea, poi due giorni dopo arrivasti da me e dalla compare, con tanto di cartina in mano, tutto eccitato, con la medesima proposta: ti avrei volentieri strangolato. E prova a darmi torto!)

Ah.
Buon compleanno, my friend.

sabato 16 maggio 2009

quando anche delle buone notizie non dispiacerebbero

In questo lungo periodo di lontananza dal blog ho avuto un po' da fare.
Tac, chirurgo vascolare, ematologo (che ancora devo vedere), perché contro tutte le probabilità, ho avuto un'altra trombosi. L'ennesima.
Fosse solo una gamba gonfia, pazienza. Fosse solo che rischi un po' la vita, pazienza (penso sempre che di qualcosa si dovrà pur morire). Fosse solo che ti viene detto che potresti continuare ad averne senza che tu possa farci nulla, pazienza.
Però non è solo questo.
Sono le altre conseguenze, quelle che mi debilitano e che mi procurano dolore, ed è difficile convivere con il dolore e con l'incapacità di fare cose che prima facevi.

Stamani sono rimasta per un paio d'ore a casa da sola - un vero miracolo, perché di solito ho sempre una babysitter anche se la cosa mi fa leggermente incazzare - e, santi numi, mi sono fatta un caffé.
Andrò a elencare la lista degli ostacoli:
  1. levare e pulire il filtro - incastrato - della macchina del caffè senza sporcarsi;
  2. sciacquare il suddetto filtro senza che ti cada nella teglia sporca presente nel lavandino di cucina (che non è adattato, quindi la carrozza non gli va sotto, ma a fianco);
  3. prendere il caffè in frigo senza spetasciarlo per terra;
  4. prendere lo zucchero, posto ad un'altezza tale che ancora mi chiedo come abbia fatto senza farlo cadere a terra e chiamare le simpatiche formiche primaverili a raccolta;
  5. inserire il filtro pieno nella macchina del caffè senza bruciarsi;
  6. prendere il bicchiere dell'espresso ormai fatto - la tazzina non poteva andare bene, perché a causa dell'altezza del bancone di cucina non avrei visto la quantità - e portarlo sul tavolo senza scottarsi.
C'è sempre da tenere a mente che sono tetra, non muovo neppure un dito (e non perché sono sfaticata) quindi tutte le prese sono un terno al lotto, basta il perdere minimamente l'equilibrio e sei fottuta.
Ma, a parte il caffè troppo lungo, ce l'ho fatta e sono un po' orgogliosa. 
Una stupidaggine come questa mi fa felice. Mi dà modo di pensare che c'è sempre la motivazione alla base di tante cose. Non tutte, ma tante.

Nel frattempo ho visto miei colleghi x-plegici collassare, ho scritto cose che spero siano utili a nuovi x-plegici, ho visto cambiare infermieri e assistenti domiciliari (una l'ho pure sputtanata perché era incapace, ma non l'avrei fatto se la stronza non avesse chiamato la sua responsabile, probabilmente dicendole che ero una pazza furiosa, che a sua volta ha chiamato me), ho visto i miei amici e le mie amiche ma di uscire neanche a parlarne, causa contrazioni selvagge da trombosi selvaggia, sono stata interpellata su quale macchina sia più comoda per me (gli incentivi stanno facendo cambiare macchine a una folta schiera di persone, e le macchine con la seduta alta non fanno per me, a meno di non avere un marcantonio che ti lanci dentro), e questa è una cosa proprio carina, e poi ho cazzeggiato un po'.

Però ci sono.
Spero anche di esserci un po' di più, perché se manco da qui vuol dire che le cose non vanno molto bene.
Ma oggi mi sono fatta il caffé. Giornata memorabile.

sabato 11 aprile 2009

quando una botta di fortuna

Insomma.
La mia adorata Moldava ha fatto richiesta per il permesso di soggiorno nel luglio/agosto dell'anno passato. Contestualmente abbiamo fatto la richiesta per il ricongiungimento familiare per suo marito. Funziona così: tu compili e invii la richiesta online, poi devi essere contattato dallo Sportello Immigrazione per presentare i documenti che attestino dove verrà ospitata la persona e se hai uno stipendio tale da poterla mantenere. E altre scartoffie (un sacco).
Nel frattempo però era uscita una legge di matrice leghista che in pratica dice che dopo la presentazione della documentazione allo Sportello, la Questura ha centottanta giorni (SEI MESI!!!) di tempo per dare il nulla osta, mentre prima erano novanta giorni.
Pensavo avrebbe dovuto aspettare fino all'autunno.

Quando lei, stufa di aspettare, andò allo Sportello per chiedere a che punto fosse la pratica, le dettero un appuntamento per il mese successivo. Si presentò con tutti i documenti richiesti ufficialmente, ma mi chiamò dicendo che mancava il mio rogito... Questa è nuova! Il rogito!!! Fortunatamente riuscii a trovarlo, lo scannerizzai e lo inviai per fax (fecero un'eccezione, perché la persona allo sportello era maschio, e la Moldava, oltre ad essere una bella ragazza, ha dei modi gentili ma fermi).

Neanche dopo un mese è entrata in possesso del nulla osta per il marito, ed è così felice.
Tra poco più di un mese torna in Moldavia e riabbraccerà la sua famiglia. Voleva stare via tre giorni, l'abbiamo convinta a prendersi una settimana.

So perfettamente che mi è molto grata per la sua regolarizzazione (lì abbiamo avuto anche molto culo) e per il ricongiungimento.
Tuttavia non voglio che questa gratitudine la esprima con un regalo. Non ce n'è bisogno, perché io la sento quasi come una sorella, ed è naturale che abbia fatto tutto ciò che ha portato due bravissime persone a ottenere di poter stare in Italia. Non voglio che buttino via soldi. Il mio regalo è stato vederla piangere di felicità quando l'hanno chiamata per dirle che il nulla osta per il marito era pronto.
Basta questo. E giuro, non è retorica.

domenica 29 marzo 2009

È stata istituita per il 4 Aprile di ogni anno la Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale.

Un’occasione per far conoscere cosa sia una lesione al midollo spinale, quali effetti abbia sulla persona, il percorso terapeutico e psicologico, il coinvolgimento dei familiari, la ricostruzione di una vita, inevitabilmente diversa. Senza far mancare l’informazione sul percorso che la ricerca scientifica sta effettuando per trovare un modo per “riparare” il midollo danneggiato.

La lesione al midollo spinale è una patologia, o meglio sarebbe dire una condizione, di cui si sa ancora  troppo poco. Si deve approfittare della giornata per divulgare non solo la conoscenza, bensì anche le esperienze delle persone che vivono questa condizione in prima persona. Bisogna sottolineare alla pubblica opinione che troppe volte le lesioni al midollo spinale sono traumatiche, a causa di incidenti stradali, sportivi o persino casalinghi, e dunque che non deve essere mai troppa la prudenza.

Il messaggio deve arrivare in primo luogo ai giovani, che sono i più colpiti dalle lesioni, affinché comprendano che l’imprudenza, fosse anche quella di un solo momento, può provocare conseguenze gravissime, che portano a un cambio radicale della propria vita, delle proprie abitudini, delle proprie aspettative.

Vorremmo inoltre che le persone colpite dalla lesione al midollo spinale vedessero riconosciuti i propri diritti, sanciti nella Legge quadro sulla disabilità n° 104/1992, e che venissero viste dagli occhi altrui innanzitutto come persone, anziché – come spesso accade – come disabili.

giovedì 26 marzo 2009

quando il quattro aprile

Giornata nazionale della persona
con lesione al midollo spinale

venerdì 20 marzo 2009

quando le persone che ti gravitano attorno

Quanto tempo che non scrivo, ma ieri, e-mailando con una simpatica marchigiana, mi è tornato in mente che avrei dovuto aggiornare il blog per evitare che venissi data per deceduta, e nel frattempo mi è venuta l'idea per un post.

La mia forma fisica è tracollata dopo l'ultima recidiva di trombosi, e ciò ha portato ad una stanchezza cronica (non so se ne sia una conseguenza, ma è da allora che mi sento stanca, tipo straccetto) e ad un imperversare di contrazioni, a gambe e addome, che mi devasta con un crescendo dal primo pomeriggio in poi. 
Come ulteriore conseguenza, tutto ciò ha portato al tracollo della mia vita sociale. Un paio di giorni, per diverse ore, sono obbligata a recarmi in ospedale per le varie terapie, e menomale. Almeno vedo gente. Nel weekend, talvolta anche durante la settimana, ho amici che passano a salutarmi, alle volte arrivano con prole/nipoti che mi mettono allegria - anche gli amici, ma i bambini ti mettono un'allegria diversa.

E' capitato un episodio che mi ha fatto faticare non poco ma allo stesso tempo ridere.
Un pomeriggio ero qui con qualche amico, tra cui una coppia da cui andavo spesso a cena (i panzerottari eccelsi), e parlando un po' salta fuori che da lì a un paio di settimane ci sarebbe stato il compleanno dell'amica anziana. Cioè, non anziana perché vecchia in senso assoluto (beh, ha comunque due mesi e due giorni più di me), ma perché è un'amica che, insieme a un'altra che deve assumersi l'onere di comprare i regali - compleanno o natale che sia - ma tanto è contenta perché she loves shopping, mi trascino dietro dai tempi delle scuole medie. A quei tempi, i primi giorni scambiai l'amica anziana n° 1 per un maschio, poi, sentendo l'appello, mi resi conto che il nome finiva per A e non era né Andrea né Luca. Chi l'avrebbe mai detto, era una femmina. Ora si nota fortunatamente un po' di più.

Insomma gli amici che stavano lì mi chiedono se andrò alla festa di compleanno. Io rispondo: "Certo, se no mi fa a fette", e allora la coppia, anzi, lui, comincia a starnazzare dicendo che ecco, da lei vado, da loro no, e così mi ingiunge di andare a cena da loro. Lo so, non ho più voce in capitolo.
Sono state due gran belle serate, per fortuna ho avuto ben sette giorni per riprendermi tra l'una e l'altra, se no non ce l'avrei fatta.

Il succo di tutto ciò è che alle volte capita che sia tu, la reclusa, a lamentarti dell'assenza di qualche amico, altre volte sono gli amici a lamentare la tua assenza. Anche se non lo fai apposta, anche se cerchi di far loro capire che non lo fai apposta, niente da fare.
Ma poi alla fine arrivi a casa stravolta e con un tre quarti di corpo che sembra un manico di scopa con improvvise variazioni sul tema, ovvero contrazioni in senso contrario, però felice. Perchè il raccontarsi, lo scherzare, il confrontarsi con coloro che ti gravitano attorno da quasi una vita ti rende proprio felice, e spazza via le inevitabili nubi che si addensano quando, per troppo tempo, non vedi la cerchia degli amiconi riuniti tutti insieme.

A scontare la botta di vita ci si penserà il giorno dopo.

venerdì 20 febbraio 2009

quando una tragedia pubblica si trasforma in tragedia personale

Non ci avevo pensato, e invece - fossi stata più intelligente - avrei dovuto.

La tragedia che ha coinvolto la famiglia Englaro ha avuto ripercussioni su persone che conosco.
Persone che stanno peggio di me.
Persone attaccate a un respiratore.
Persone che si muovono su carrozzine iper-tecnologiche, che muovi con un soffio, con la lingua, con un bastoncino.
Persone che non hanno movimenti volontari, se non quelli dei muscoli facciali.
Persone.
Persone che si trovano su un filo sottilissimo, che alle volte si sentono persone, alle volte pupazzi.

Questa tragedia che ha scosso tutt'Italia, che ha obbligato ognuno di noi a porsi domande importanti, che sta portando il Parlamento verso una (ridicola) legge sul testamento biologico, ha smesso, per la sottoscritta, di essere spunto di riflessioni e domande che non trovano risposta, perché è diventata di riflesso una tragedia personale.
Alcuni tetraplegici gravi, le persone sopra descritte, hanno pensato che non valga più la pena.
E così si sono lasciati andare, e vogliono essere staccati dal respiratore.

Io non sono niente. 
Non posso giudicare, perché bisogna trovarsi nelle condizioni di ogni essere umano, prima di esprimersi.
Ieri parlavo con un'amica paraplegica, con una grandissima autonomia, e mi ha detto: "Ho sempre pensato che se fossi stata tetraplegica, avrei preferito morire".
Forse l'avrei pensato anche io, se avessi seriamente pensato alla faccenda, prima dell'incidente che mi ha reso tetraplegica.
Poi succede che uno si abitua. Alla mancanza di autonomia, alle mille beghe mediche, alla solitudine obbligata, quando non sei in condizioni di uscire.
Ma io sono io. Io sono un carattere particolare. Io sto bene con me stessa. Io riesco ad accettare molte cose, anche sgradevoli. Ci sono persone nelle mie stesse condizioni da cui posso imparare, ce ne sono altre che si rassegnano, che si chiudono, che sentono di non avere più niente da dire.

Io.
Ci sono volte in cui parte una bestemmia, ci sono giornate talmente dolorose che uno si chiede cosa stia a fare al mondo, poi ci sono anche giornate in cui percepisci una strana sensazione - indipendentemente dal tuo stato fisico o emotivo - e non sai, prima di addormentarti, se ti risveglierai. Ma il punto interrogativo non ti scompone, la morte è solo la fine della vita, sono coloro che ti stanno vicino che non ne vogliono sapere.

Io non posso giudicare queste persone che auspicano alla fine.
E' facile dire: "E' depressione", ma io non ci credo. Non è depressione, è realizzare che uno ci ha provato ma che basta, è stufo.
Se sono io a pensarlo, di quando in quando, perché non loro?
Questo non significa che viva le cose con cinismo, le vivo con realismo.
Con realismo e con dolore.